Poesie metasemantiche

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  • Poesie metasemantiche


    Allora, questo è un gioco un po' diverso, un po' più impegnativo. Si devono creare delle poesie che non abbiano senso, o meglio, le cui parole non siano veramente italiane, ma che SUONINO italiane. La chiave è riuscire a creare parole che riescano ad evocare immagini solo grazie al loro suono, non al loro senso. Per darvi degli esempi:


    Il lonfo

    Il lonfo non vaterca né gluisce
    e molto raramente barigatta,
    ma quando soffia il bego a bisce bisce
    sdilenca un poco, e gnagio s'archipatta.
    È frusco il lonfo! È pieno di lupigna
    arrafferìa malversa e sofolenta!
    Se cionfi ti sbiduglia e t'arrupigna
    se lugri ti botalla e ti criventa.
    Eppure il vecchio lonfo ammargelluto
    che bete e zugghia e fonca nei trombazzi
    fa lègica busìa, fa gisbuto;
    e quasi quasi, in segno di sberdazzi
    gli affarfaresti un gniffo. Ma lui zuto
    t'alloppa, ti sbernecchia; e tu l'accazzi.
    Il giorno ad urlapicchio

    Ci son dei giorni smègi e lombidiosi
    col cielo dagro e un fònzero gongruto
    ci son meriggi gnàlidi e budriosi
    che plògidan sul mondo infrangelluto,
    ma oggi è un giorno a zìmpagi e zirlecchi
    un giorno tutto gnacchi e timparlini,
    le nuvole buzzìllano, i bernecchi
    ludèrchiano coi fèrnagi tra i pini;
    è un giorno per le vànvere, un festicchio
    un giorno carmidioso e prodigiero,
    è il giorno a cantilegi, ad urlapicchio
    in cui m'hai detto "t'amo per davvero".
    Solstizio d'estate

    Giracchia vorticando un caligello
    e sfrìggican le fonfe in gnegnoloni
    stragizza firignàtico un morfello
    tra i gugli, i melisappi, i tarpagnoni.
    Spiffate o bellindane i tornichetti,
    spiffate ninfaroli le fernacchie!
    Chi spiffa si rispàffera in budretti
    chi ciucca si rincòcchera in gerlacchie.
    Gettiamo i bustifagni alla malventa?
    E i lònferi nel fuoco piripigno?
    Straquasci l'orgicaglie a luna sbrenta
    e trònagi lupastro il frizzivigno!


    La lunghezza è a piacere. Inizio io.



    La frite rapascona


    Nel fagnetto di lisquiscia vitrillina

    sorgavano evesti le friti di ordèra

    che con le alucce smillacchiavan per l'eustina.


    Ma tra le friti ci svigniva una proprio glera

    che non fautava di girgettare nella stige

    bensì scrucazzava, si sgnignolava con sciarliera.


    La capa dunque la spigiò di lige

    e che se non avesse infuto il tantro a vese

    l'avrebbero sgardogliata nella malturia dell'escrige.


    La frite glera stracassa allor le briese:

    "Se sgardogliar iassi mi travite,

    io con stuffa mi ci disfilo in groppa al suo carrese."


    La capa stralucciò, miccò le sue popite,

    poi con barza esquasse in una farfa,

    e ancor farfando si dislesse dalla frite.

    Aka Ariela


    IT - DE - EN

    Edited once, last by LordAndrew ().